Breve trattato sulla decrescita serena e Come sopravvivere allo sviluppo
Serge Latouche, Bollati Boringhieri Editore, Torino, 2015
«Non possiamo più sopportare né i nostri vizi né i loro rimedi». Il celebre motto di Tito Livio sembra concepito per la situazione di crisi planetaria che stiamo attraversando. Questa insostenibilità congiunta di pessime pratiche e mezzi fittizi per contrastarle ha trovato in Serge Latouche un analista affilato e conseguente, determinato a snidare l’impostura economica ovunque si rintani, nelle parole e nelle cose. Latouche addita il nostro vizio capitale nel vivere irresponsabilmente all’insegna dell’eccesso. Troppo di tutto: troppa produzione, troppo consumo, troppa rotazione dei prodotti, troppa obsolescenza, troppo scarto; e, insieme, troppa disuguaglianza, troppa disoccupazione, troppo saccheggio di risorse naturali, troppo inquinamento di ogni genere (biochimico, mentale, visivo, acustico). Ma non si tratta del pervertimento di un modello di sviluppo sano, a cui basterebbe applicare i giusti correttivi. A essere tossica, senza appello, è la nozione stessa di crescita ovunque si sia incarnata, nell’ultraliberismo del capitale globalizzato o nel produttivismo del socialismo reale. Dopo il fallimento delle politiche sviluppiste, anche nella versione cosiddetta «sostenibile» – ultimo, pericoloso abbaglio, secondo Latouche –, ci resta un’unica alternativa, ossia l’utopia concreta di una società governata da una logica di decrescita, che alleggerisca l’impronta ecologica, metta fine alla predazione, stringa un rapporto di parternariato con il Sud del mondo, rivitalizzi gli aspetti conviviali dell’esistenza. Un vagheggiamento irrealizzabile? Nient’affatto, come si incaricano di illustrare i due libri di Latouche che l’hanno fatto conoscere a un pubblico vastissimo, qui raccolti per la prima volta. Fino a che non imboccheremo la strada della decrescita serena, l’eccesso di benessere continuerà a coincidere con l’eccesso di malessere